Alaa Radwan, che ora vive al Cairo, ha scritto in una nota pubblicata dal sito web di analisi di notizie inglese Middle East Eye: "Israele ha ucciso la mia famiglia e distrutto la mia casa, e il mondo intero stava a guardare". Secondo l'IRNA, questa scrittrice palestinese ha lasciato Gaza con i suoi figli per sopravvivere al genocidio, ma ogni giorno sta vivendo il peso dello sfollamento.
Radwan ha scritto del brutto ricordo della distruzione della sua casa a Gaza: La nostra casa era nel quartiere Nasser di Gaza City. Ogni angolo custodiva il ricordo delle nostre risate e ogni stanza era testimone delle nostre lacrime. Immagina cosa si prova a perdere tutto. Le pareti che avevo dipinto con cura; le tende che avevo scelto con amore, la cucina dove cucinavo per i miei cari; il corridoio dove i miei gemelli hanno mosso i primi passi; e una libreria piena di libri.
"È come se fossimo persone invisibili", ha proseguito Radwan. "Nei media occidentali e perfino in quelli arabi, gente come me viene eliminata, con una bomba o con un titolo".
La scrittrice palestinese ha inoltre scritto: "Per il mondo noi palestinesi siamo come i numeri di morti, feriti e sfollati e non ci considerano esseri umani".
"Per gli israeliani", ha aggiunto Radwan, "il trauma psicologico causato dalla guerra viene trattato dai media, ma a Gaza, il trauma psicologico causato dall'orrore della guerra è un privilegio che non ci viene concesso. I media occidentali cancellano la distinzione tra l'usurpatore e chi subisce atto di occupazione, tra raid aereo e razzi artigianali, tra assedio sistematico e resistenza".
La traduttrice palestinese ha scritto del gioco di parole dei media occidentali per difendere i crimini del regime occupante: "I media, con parole come prendere di mira i soldati o annunciare presumibilmente la diffusione di un video dei massacri, svolgono un ruolo importante nell'impedire che i crimini contro la popolazione di Gaza vengano visti".
Radwan ha aggiunto: "Nel massacro degli operatori sanitari a Rafah, nonostante le immagini in diretta della strage siano state trasmesse al mondo intero, i media occidentali hanno continuato a usare un linguaggio dubbioso e parole ambigue per raccontare questo crimine".
Sempre secondo la scrittrice palestinese "restare in silenzio di fronte ai crimini del regime usurpatore o pubblicare notizie a favore dell'occupante sia solo una questione morale". E poi ha aggiunto: "La questione non è solo morale, ma anche quella di registrare gli eventi nella storia. Di chi è il dolore registrato e di chi è il dolore cancellato? Ciò che conta sono le voci che plasmano l'opinione pubblica, la politica internazionale e la storia".
La traduttrice residente al Cairo ha inoltre scritto: "Non siamo solo numeri. Non siamo solo vittime. Siamo esseri umani, con nomi, ricordi e un futuro che abbiamo avuto. Meritiamo di essere visti. Non sono la prima a dirlo. Da decenni i palestinesi raccontano la loro storia al mondo. Ma ora, quasi 20 mesi dopo questo genocidio, ancora non ci hanno ascoltato. Il silenzio continua a essere più forte del rumore delle bombe e più pesante delle macerie delle case distrutte".
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