Durante il periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale, e in particolar modo dopo l’emergere dell’Imam Khomeyni sulla scena nazionale nel 1963 come principale leader dell’opposizione al regime Pahlavi, Qom fu un centro di militanza politica e sociale, oltre che di studi accademici. Non solo venivano insistentemente espresse proteste contro lo Scià e la sua schiera di mecenati stranieri; anche i problemi contemporanei del mondo islamico nel suo complesso venivano affrontati in lezioni, libri e periodici. Nonostante la sua immersione nelle attività accademiche che abbiamo descritto, Tabataba’i non rimase indifferente a questi sviluppi. Dedicò ad esempio un saggio al tema frequentemente discusso dello status delle donne nell’Islam che andava oltre la ripetizione delle disposizioni legali pertinenti per affrontare alcune preoccupazioni contemporanee.[72]
In un’altra occasione criticò “il cosiddetto mondo civilizzato” per la sua complicità nei crimini commessi dalla Francia in Algeria con il pretesto che si trattasse di un affare interno del governo francese.[73] Era anche ben consapevole di ciò che Jalal Al-i Ahmad, nel suo saggio del 1341 SH/1962 con lo stesso nome, chiamava Gharbzadagi (“Occidentosi”)[74], come indica la seguente frase: “La logica seguita da coloro che gestiscono i nostri affari, i leader della società e anche gli intellettuali, è che il mondo progressista di oggi – con cui intendono il mondo europeo – è in contrasto con le preoccupazioni religiose e che le norme che governano la nostra società devono essere accettabili per il mondo – vale a dire, per l’Europa”.[75] Numerosi argomenti di interesse contemporaneo sono trattati anche in sezioni del Tafsir al-Mizan intitolate ‘bahth ijtima’i’.
Illustrativo del fermento nella società iraniana in generale e nei circoli religiosi in particolare fu un altro libro pubblicato nel 1962, Bahthi dar bara-yi marja’iyat va ruhaniyat, un volume collettivo che cercò di esaminare e accrescere il ruolo della dirigenza religiosa. È notevole che il contributo di Tabataba’i, un lungo capitolo intitolato “Vilayat va za’amat” (“Governo e dirigenza”), fosse l’unico nel libro dedicato al tema del governo islamico.[76] L’argomento potrebbe essergli stato suggerito dagli editori, ma è altrettanto probabile che lo abbia scelto lui stesso in quanto urgentemente rilevante per le circostanze del momento. Dopo la morte di Burujirdi nel 1961, si dice che abbia sospeso le sue lezioni di filosofia per affrontare precisamente il tema del governo islamico.[77]
L’approccio di Tabataba’i all’argomento è in primo luogo filosofico, in quanto sostiene la necessità di un governo radicata nella disposizione essenziale (fitrat) dell’uomo e confermata dalla Rivelazione. Tuttavia, il suo saggio è più di un esercizio filosofico, poiché egli si scontra con le ideologie e i sistemi politici contemporanei. Il marxismo, sottolinea, ha screditato la propria visione della storia trionfando non nei Paesi capitalisti avanzati, ma nel mondo sottosviluppato, e le democrazie parlamentari dell’Occidente, oltre a funzionare internamente come dittature della maggioranza, sono esattamente quegli Stati che hanno fatto del loro meglio per schiavizzare e sfruttare il resto del mondo.[78]
Per quanto riguarda il sistema di governo appropriato per i musulmani sciiti durante la continua occultazione del Dodicesimo Imam, Tabataba’i sembra inizialmente ambiguo. Dopo aver sollevato come possibilità la devoluzione del governo all’intera comunità, al corpo collettivo dei fuqaha’, o al più colto dei fuqaha’, osserva che “queste sono questioni che vanno oltre la nostra attuale preoccupazione e devono essere risolte nel contesto del fiqh”.[79] Il suo scopo potrebbe quindi essere stato quello di stimolare la discussione di queste varie possibilità tra i fuqaha’.
Ciononostante, conclude: “L’individuo che eccelle su tutti gli altri nella taqwa (consapevolezza di Dio), capacità amministrativa (husn-i tadbir) e consapevolezza delle circostanze contemporanee, è il più adatto a questa posizione [la guida della società]”.[80] Questa frase suggerisce un’approvazione della tesi della vilayat-i faqih (“governo del faqih“) come propagata dall’Imam Khomeyni, e presenta in effetti una certa somiglianza con l’articolo 109 della Costituzione della Repubblica islamica, che specifica le qualifiche richieste alla Guida (rahbar).[81] Sembra indiscutibile che Tabataba’i abbia approvato la teoria della vilayat-i faqih, almeno nelle sue linee generali.
Questo saggio non è stato in alcun modo l’unico contributo apportato dall’‘Allamah all’elaborazione teorica del governo islamico. Egli tocca il tema in numerosi punti del Tafsir al-Mizan, più in particolare forse nella sua discussione del versetto 200 della Sura 3 del Corano (‘O voi che credete, perseverate nella pazienza e nella costanza…’), dove elenca quelli che considera i dieci elementi essenziali del governo islamico.[82] L’Ayatullah Mutahhari, che ha presieduto il Consiglio della Rivoluzione Islamica dalla sua istituzione nel gennaio 1979 fino al suo assassinio nel maggio di quell’anno, è arrivato al punto di osservare: “Non ho ancora incontrato alcun problema relativo al governo islamico la cui chiave per la risoluzione non sia riuscito a trovare nel Tafsir al-Mizan”.[83]
Il martire Ayatullah Mutahhari insieme al suo maestro, ‘Allamah Tabataba’i
Esteriormente la quintessenza stessa dell’asceta e studioso in pensione, Tabataba’i non era affatto negligente o ignaro della sfera politica.[84] Ha svolto tuttavia un ruolo poco o per nulla riconoscibile nell’intensa e prolungata lotta condotta dall’Imam Khomeyni e dai suoi compagni che culminò nella Rivoluzione islamica del 1978-79 e nella fondazione della Repubblica Islamica dell’Iran. Solo una volta Tabataba’i firmò un comunicato congiunto emesso su argomenti del giorno dagli ‘ulamà di Qom. Ciò avvenne alla fine del 1962, quando si unì ad altri otto firmatari nel denunciare i piani del governo per l’emancipazione delle donne.[85] Quando iniziò la Rivoluzione, era troppo fragile fisicamente per parteciparvi anche marginalmente. Tuttavia, il ruolo di primo piano svolto da molti dei suoi studenti nella Rivoluzione indica che gli atteggiamenti e gli insegnamenti che aveva trasmesso loro erano quantomeno compatibili con il sostegno al nuovo ordine islamico.[86] Molti di loro furono assassinati: l’Ayatullah Murtada Mutahhari nel maggio 1979; l’Ayatullah Muhammad Husayn Beheshti nel giugno 1981; e l’Ayatullah ‘Ali Quddusi, genero di Tabataba’i e Procuratore Generale rivoluzionario, nel settembre 1981[87].[88]
Infine, tra gli interessi dell’‘Allamah, bisogna menzionare la sua devozione alla poesia persiana e alle sue tradizioni. Era in particolare un avido lettore del Divan di Hafiz, i cui versi spesso citava e interpretava nel corso delle sue lezioni di filosofia, nonostante la sua insistenza generale nel mantenere separati il linguaggio e gli argomenti della filosofia da un lato e della gnosi dall’altro. Si dice quindi che Tabataba’i abbia trovato utile il seguente verso per comprendere la relazione tra l’Esistente Necessario e gli esistenti contingenti: “Come è successo che l’ombra dell’amato cadde sull’amante?/Avevamo bisogno di lui, e lui desiderava ardentemente noi“.[89] Tra i poeti arabi, sentiva una speciale affinità con il sufi Ibn al-Farid.[90] Compose egli stesso una certa quantità di poesie, tra cui trattati in versi su argomenti eruditi quali grammatica, logica e calligrafia, nonché ghazal di contenuto gnostico, alcuni dei quali in ‘persiano puro’ (farsi-yi sara), vale a dire un persiano che non fa uso di prestiti arabi.[91]
Indebolito per molti anni da problemi cardiaci e neurologici, Tabataba’i si ritirò dall’attività di insegnamento e si immerse sempre più nella devozione privata man mano che la fine della sua vita si avvicinava. Nel 1401/1981, si fermò come al solito a Damavand mentre tornava a Qom dalla sua visita estiva annuale a Mashhad. Si ammalò gravemente e fu condotto in ospedale a Teheran. Le prospettive di guarigione erano considerate scarse e fu quindi portato a casa sua a Qom, dove venne rigorosamente isolato da tutti ad eccezione dei suoi studenti più intimi. Qualche tempo dopo fu ricoverato in ospedale a Qom e dopo circa una settimana morì, alle nove del mattino del 18 Muharram 1402/7 novembre 1981. Si dice che durante gli ultimi momenti della sua vita ebbe una visione dei Ma’sumin[92] e rilevò con perfetta lucidità ai presenti: “Coloro di cui attendevo l’arrivo sono ora entrati nella stanza“.[93] Fu sepolto il giorno seguente, vicino alle tombe dello Shaykh ‘Abd al-Karim Ha’iri e dell’Ayatullah Khwansari; le preghiere funebri furono guidate dall’Ayatullah Gulpayagani.[94]
Questo schizzo degli eventi e dei risultati accademici che costituiscono la biografia di ‘Allamah Tabataba’i è inevitabilmente insufficiente nel descrivere la totalità della sua persona spirituale, quella natura essenziale di cui i suoi vari risultati furono altrettante manifestazioni. La mancanza può, tuttavia, essere rimediata in una certa misura attingendo ai ricordi dei suoi principali studenti e collaboratori.
Riferiscono all’unanimità che la devozione assoluta all’Ahl al-Bayt era una delle sue caratteristiche principali. Durante la sua visita estiva annuale a Mashhad, baciava la grata che racchiudeva la tomba dell’Imam Rida con grande passione e spesso trascorreva la notte di fronte ad essa, impegnato in suppliche. Durante tutto l’anno, ma soprattutto durante i mesi di Muharram e Ramadan, partecipava alle sessioni di rauza-khwani e si lamentava delle sofferenze che avevano colpito la Gente della Casa del Profeta. Quanto ad ‘Ashura, questo era l’unico giorno dell’anno in cui sospendeva le sue attività accademiche. A parte questi segni di devozione osservabili esternamente, sembra chiaro che Tabataba’i fosse anche uno di quegli gnostici e sapienti sciiti selezionati che, secondo la tradizione, contemplavano e conversavano con i Ma’sumin tramite un’esperienza visionaria.[95]
Una seconda caratteristica senza dubbio correlata era l’estrema modestia e umiltà che l’‘Allamah mostrò per tutta la sua vita. Non lo si sentì mai pronunciare il pronome ‘io’, né in persiano né in arabo.[96] A differenza di molti, se non della maggior parte dei luminari di Qom, non avrebbe mai permesso che gli si baciasse la mano, ritirandola nella manica se qualcuno ci avesse provato.[97] Si rifiutò sempre di guidare chiunque nella preghiera congregazionale, persino i suoi studenti, e quando era a Qom si univa regolarmente alla preghiera del tramonto guidata alla madrasa Fayziya dall’Ayatullah Muhammad Taqi Khwansari.
La stessa umiltà si manifestava nelle sue attività accademiche e pedagogiche. Quando criticava gli studiosi del passato con cui differiva su certe questioni, come, ad esempio, il Majlisi, lo faceva con la massima cortesia e circospezione. Quando l’Ayatullah Nasir Makarim-Shirazi, incaricato di tradurre il Tafsir al-Mizan in persiano, informò Tabataba’i che non era d’accordo con alcune delle sue opinioni, lo autorizzò senza esitazione a registrare il suo punto di vista dissenziente nelle note a piè di pagina della traduzione.[98] Quando insegnava, non si permetteva mai di assumere la posizione di implicita autorità nell’appoggiarsi a un cuscino o al muro, ma sedeva invece dritto per terra, proprio come i suoi studenti.[99] Era paziente e tollerante con le domande e le obiezioni sollevate dai suoi studenti, dedicando generosamente il suo tempo anche agli immaturi tra loro.
Le circostanze materiali di Tabataba’i a Qom erano in linea con questa totale mancanza di presunzione. Come già osservato, non aveva accesso ai fondi riservati agli studenti e agli insegnanti di fiqh, e a volte non aveva nemmeno i soldi per accendere una lampada nella sua modesta abitazione nel distretto di Yakhchal-i Qadi di Qom.[100] La casa era troppo piccola per ospitare la folla di studenti che veniva a fargli visita, e quindi si sedeva sui gradini di fronte per riceverli. A differenza di molti studiosi, non accumulò una vasta biblioteca personale, sebbene lasciò dietro di sé una piccola collezione di manoscritti.[101] Non furono solo i suoi studenti a beneficiare della sua umile e modesta natura. Tale era il suo affetto per la sua famiglia che spesso si alzava in piedi quando sua moglie o i suoi figli entravano nella stanza, e quando diventava necessario lasciare la casa e acquistare quei due lubrificanti essenziali della vita quotidiana, il tè e le sigarette, l’‘Allamah stesso se ne assumeva il compito invece di imporlo alla sua famiglia.[102]
Tale era il comportamento esteriore di colui che, agli occhi dei suoi discepoli, era diventato “uno specchio per lo spirito dei Ma’sumin“, che aveva raggiunto un grado di distacco da questo mondo che gli consentiva di osservare direttamente le forme dell’invisibile.[103]
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