in Oriente e in Occidente. Si discute di un possibile trattato di pace mentre il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e l’azero Ilham Aliyev si sono incontrati a Mosca pochi giorni fa.
Nella capitale russa dinanzi al presidente russo Vladimir Putin, in occasione di un meeting dell’Unione economica eurasiatica (che ha deciso di incentivare ulteriormente i pagamenti in valute nazionali anziché in dollari) i leader rivali hanno provato a compiere un passo in avanti, pur nelle rispettive ataviche rivendicazioni, ma con una sostanziale novità: Pashinian e Aliyev hanno parlato apertamente di progressi verso una soluzione della lunga disputa. Sullo sfondo rimane la rabbia armena per la mossa di Baku per impedire l’accesso armeno al Nagorno-Karabakh. Pashinian ha affermato che le azioni hanno causato una crisi umanitaria chiudendo l’unica via di terra dall’Armenia alla regione, accusa respinta da Aliyev. Ma un capitolo nuovo rispetto al conflitto scoppiato nel 2020 in cui sono stati uccisi quasi 7.000 soldati da entrambe le parti.
Perché l’apertura di questo pertugio? Intanto va ricordata la presa di posizione Aliyev che si è detto ottimista circa la possibilità di raggiungere un accordo di pace,” considerando che l’Armenia ha formalmente riconosciuto il Karabakh come parte dell’Azerbaigian”, aggiungendo che l’Azerbaigian non ha pretese territoriali sull’Armenia. Di buoni progressi ha parlato Pashinyan con nuove relazioni basate sul riconoscimento reciproco dell’integrità territoriale. In precedenza a Bruxelles era stato ospitato un vertice dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, sotto l’ombrello diplomatico di chi, Usa e Ue, premono per negoziare un accordo di pace. Appare evidente che lo sforzo diplomatico dell’Occidente nel Caucaso abbia infastidito Mosca, ‘impegnata’ su un altro fronte delicato come l’Ucraina e preoccupata di perdere il proprio status di storico mediatore in quell’area.
La sede del prossimo incontro è senza dubbio una location particolare, almeno in questo momento storico: è in vigore lo stato di emergenza; l’invasione russa dell’Ucraina ha trasformato la vicina in una polveriera; inoltre non solo giocano un ruolo i mille chilometri di confine con l’Ucraina, ma anche le minacce russe di impedire a Chisinau di diventare un’altra “anti-russa”.
In prospettiva non è automatico che la Moldavia acceleri sulla sua indipendenza dalla Russia, anche perché Mosca difficilmente lascerà la presa: continuerà a interferire nella vita politica moldava finanziando partiti filo-russi e presentando la Nato come una minaccia. Ma all’interno di un quadro di insieme dove la forza propulsiva anti Occidente esercitata dal Cremlino è di minore intensità rispetto ad un anno fa.
Inoltre il peso specifico di altri players, più o meno vicini, giocherà un ruolo in questa maratona diplomatica: recentemente Aliyev ha descritto le relazioni con l’Iran come “al livello più basso di sempre”, il tutto mentre Baku deve concentrarsi sul contrasto alla minaccia iraniana. Più in generale i due leader, al netto dei riverberi interni di questo possibile passo avanti, devono osservare con attenzione gli sforzi di mediazione americani ed europei senza farsi distrarre da elementi esterni che distolgano l’attenzione dagli obiettivi condivisi.
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