Secondo Pars Today, Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, in seguito all’aumento delle tensioni tra Washington e Caracas con il pretesto della lotta contro il narcotraffico, ha nuovamente difeso questi attacchi e ha minacciato altri Paesi, dichiarando: «Qualsiasi Paese che contrabbanda droga negli Stati Uniti sarà oggetto di un attacco.»
Martedì, durante la riunione del suo gabinetto, Trump ha aggiunto che molto presto saranno effettuati attacchi via terra contro i cartelli e contro qualsiasi Paese sospettato di contrabbandare droga negli Stati Uniti. Ha chiarito: «Chiunque compia questa azione e la venda al nostro Paese sarà attaccato, non solo il Venezuela.»
Trump, proseguendo con le sue precedenti minacce, ha affermato: «Avvieremo questi attacchi anche via terra, le operazioni terrestri sono molto più semplici e noi conosciamo le rotte che percorrono, conosciamo tutte le informazioni su di loro, sappiamo dove vivono, sappiamo dove vivono i malfattori e molto presto inizieremo anche questo. Chiunque contrabbandi droga e la venda al nostro Paese è esposto a un attacco.»
La nuova minaccia di Trump riguardo all’attacco ad altri Paesi, questa volta con il pretesto del traffico di droga, così come in altri casi, ad esempio l’attacco all’Iran con il pretesto falso e infondato della ricerca di armi nucleari, ha riportato ancora una volta alla mente dell’opinione pubblica mondiale la domanda sul perché Washington, sulla scena internazionale, invece di rispettare i diritti e le norme del diritto internazionale, creda alla legge della giungla.
Gli Stati Uniti, in quanto potenza militare ed economica dominante nel mondo, hanno sempre cercato di riscrivere le regole del gioco a proprio vantaggio. Questo comportamento non è apparso soltanto durante l’era Trump, ma anche nei governi precedenti degli Stati Uniti; tuttavia, il linguaggio esplicito e minaccioso di Trump ha reso questa realtà ancora più evidente.
Una delle principali ragioni di tale approccio è la posizione unica degli Stati Uniti nell’ordine internazionale. Washington, con una vasta rete di basi militari e facendo oggi ricorso alla politica della “pace tramite la forza” presentata da Trump, sostiene di avere la capacità di esercitare pressione sugli altri Paesi. Proprio questo approccio di forza fa sì che si tenga in minor conto il rispetto delle regole giuridiche vincolanti. In effetti, quando un Paese sa di avere gli strumenti militari ed economici necessari per imporre le proprie richieste agli altri, ha ben poca motivazione a rispettare principi condivisi e accordi internazionali. Questa è la logica della legge della giungla: il potere sostituisce il diritto.
D’altra parte, la politica estera degli Stati Uniti è fortemente influenzata dagli interessi interni e dalle potenti lobby. I complessi militari-industriali, le compagnie petrolifere ed energetiche e i gruppi di pressione politica svolgono tutti un ruolo nella formazione delle decisioni di Washington. La minaccia di attacchi o l’imposizione di sanzioni non è solamente uno strumento per perseguire obiettivi geopolitici, ma anche un mezzo per garantire gli interessi economici di questi gruppi. Pertanto, la legge della giungla in questo contesto significa la priorità degli interessi particolari sui principi etici e giuridici.
Un altro punto importante è la debolezza delle istituzioni internazionali di fronte alla potenza degli Stati Uniti. Le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza hanno mostrato più volte di non avere la capacità di contrastare le azioni unilaterali di Washington. Il diritto di veto e l’influenza politica americana hanno praticamente paralizzato queste istituzioni. Quando i meccanismi legali e collettivi perdono la propria efficacia, l’ordine internazionale scivola verso l’illegalità e la dominazione della forza.
La minaccia di Trump riflette inoltre una cultura politica particolare degli Stati Uniti, fondata sull’eccezionalismo, l’unilateralismo e il suprematismo. I leader americani spesso presentano il loro Paese come la “nazione eletta” che ha il diritto di agire per preservare l’ordine mondiale. Questa visione prepara il terreno per giustificare azioni militari e interventiste. In questo quadro, la fede nella supremazia della forza e nella legge della giungla non è una deviazione, ma parte dell’identità politica degli Stati Uniti.
Tuttavia, le conseguenze di questo approccio, che soprattutto nel secondo mandato presidenziale di Trump è stato intensamente perseguito da Washington, sono estremamente pericolose per il mondo. La sfiducia nelle regole e nelle leggi internazionali aumenta, le competizioni armate si intensificano e gli Stati, per difendersi, si orientano verso nuove alleanze e politiche più aggressive. Alla fine, la sicurezza globale viene gravemente danneggiata e le crisi regionali si ampliano. La nuova minaccia di Trump riguardo all’attacco ad altri Paesi è un esempio palese di questo circolo vizioso, in cui il potere, invece della legge, diventa l’elemento principale nel definire le relazioni internazionali.
In conclusione, si può affermare che gli Stati Uniti, grazie alla loro notevole potenza militare, ai loro interessi economici interni, alla debolezza delle istituzioni internazionali e alla loro cultura politica eccezionalista, in poche parole, grazie al considerare se stessi come una superpotenza capace di imporre le proprie richieste agli altri Paesi, credono e seguono di fatto la legge della giungla a livello globale. Le minacce esplicite di Trump non hanno fatto altro che togliere il velo e rendere più evidente una realtà che esiste da anni. Finché le strutture internazionali non riusciranno a limitare il potere degli Stati Uniti, questa logica di dominio continuerà e il mondo rimarrà esposto ai pericoli dell’illegalità e dell’unilateralismo.
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