AhlolBayt News Agency (ABNA)

source : Parstoday
sabato

29 ottobre 2022

20:32:04
1318499

Arabia Saudita, donne in carcere per post non gradite

RIYADH - Famiglia, vicini e persino i gruppi per i diritti umani chiedono il rilascio di una donna tunisina incarcerata...

 in Arabia Saudita solo aver condiviso sulla rete un posto pro-Hezbollah. La sorella di Mahdia Marzouki ha chiesto alle autorità tunisine di intervenire per il suo rilascio dalle carceri del regno.

Leila Marzouki ha detto che sua sorella, Mahdia, che lavorava come ostetrica in Arabia Saudita, è stata arrestata nel 2020 dopo aver condiviso un retweet (un re-post) a favore del movimento della resistenza islamica libanese, mentre si trovava a Tunisi, capitale del suo Paese. Leila ha detto che sua sorella è stata condannata all'inizio di quest'anno da un tribunale saudita a 30 mesi di carcere, ma a settembre si è vista infliggere una scioccante sentenza a 15 anni a seguito di un nuovo processo per presunte accuse di sostegno al terrorismo. "Chiediamo alle autorità tunisine di intervenire per annullare il verdetto e ottenere il rilascio di mia sorella", ha detto Leila Marzouki.

Anche i gruppi tunisini per i diritti umani hanno denunciato la condanna contro la Marzouki e ne hanno chiesto il rilascio. La Tunisian Human Rights League (LTDH) ha affermato in una dichiarazione che il verdetto è "una grave violazione della libertà di espressione" e un "crimine" contro tutti i tunisini. La LTDH ha anche esortato le autorità di tunisi a fare pressioni su Riyadh affinché annulli il verdetto e liberi Marzouki, facendo eco a simili appelli dell'Osservatorio tunisino dei diritti umani.

L'Arabia Saudita, un tempo grande partner commerciale del Libano, ha evitato di investire nel Paese dei Cedri a causa di Hezbollah e del suo forte sostegno che il movimento gode all'interno della società e dei politici libanesi, mettendo la resistenza libanese nella sua cosiddetta lista nera. 

Ma quello della Mahdia Marzouki non è un caso, la stretta della monarchia saudita wahabita si intensifica sulle donne che sostengono, anche indirettamente, il dissenso sui social: 45 anni di carcere è stata la sentenza pronunciata contro Nourah al-Qahtani per alcuni post non graditi al regime, a poche settimane da quella, a 34 anni, toccata a Salma al-Shehab, madre di due figli, per avere semplicemente ritwittato i messaggi di alcuni dissidenti. Entrambe le sentenze sono state pronunciate in appello.

"Solo poche settimane dopo la scioccante condanna a 34 anni di Salma al-Shehab di questo mese, la condanna a 45 anni di Nourah al-Qahtani mostra quanto le autorità saudite si sentano legittimate nel punire anche le critiche più lievi dei suoi cittadini", ha affermato Abdullah Alaoudh, esponente dell'organizzazione per i diritti umani Democracy for the Arab World Now (Dawn), fondata dal giornalista saudita Jamal Khashoggi, lui stesso ucciso e fatto a pezzi nell'ambasciata saudita di Istanbul per le sue posizioni anti regime. 

Di Nourah al-Qahtani non si sa molto, e non risulta neanche avere al momento un account Twitter attivo. Ha ricevuto la pesante condanna in appello dopo essere stata giudicata colpevole di "aver usato Internet per lacerare il tessuto sociale del Paese" - come si legge sul documento del tribunale diffuso da Dawn - e per "violazione dell'ordine pubblico" tramite i social media, ai sensi della legge antiterrorismo e anti-criminalità informatica del Regno.

L'altra donna condannata, Salma al-Shehab, si è vista infliggere 34 anni di carcere per aver aperto un profilo Twitter ed aver ritwittato messaggi di dissidenti e attivisti. Salma frequentava un dottorato di ricerca all'Università di Leeds, in Gran Bretagna, ed è stata arrestata durante una vacanza nel suo Paese. La donna è stata inizialmente condannata a tre anni di carcere per il "reato" di utilizzo di un sito Internet finalizzato a "causare disordini pubblici e destabilizzare la sicurezza civile e nazionale", poi una corte d'appello ha emesso la nuova condanna a 34 anni di carcere e altrettanti di divieto di viaggio dopo che il pubblico ministero ha chiesto alla Corte di prendere in considerazione altri presunti crimini.

342/